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Bua Mimmo

Sono orme lievi, delicate, appena riconoscibili le tracce che delineano la biografia di Mimmo Bua. Un nome, un’opera, una vita tessuti scrupolosamente su un telaio della creatività, dell’utopia e del sogno. Intellettuale radicato, come pochi, nel contesto della sua appartenenza – la terra che racconta con le imprevedibili vie della sua poesia – lontano dal sistema, ma sempre presente nelle dinamiche culturali della Sardegna, in lui coesistono più vocazioni, più interessi, un crogiolo di idee e progetti che lo animerà fino ai suoi ultimi giorni di vita, quando, racconterà il suo amico e compaesano Placido Cherchi, “il ritmo logorante dei suoi cantieri aperti lo seguirà anche nella stanza d’ospedale, col portatile sul comodino e le pile di fogli tutt’attorno”. E, tra questi cantieri, non si può non ricordare uno degli ultimi, quello di “Soliana”, la rivista di arti, cinema, poesia, filosofia e letteratura fondata proprio da Mimmo Bua, che nell’inaugurare questo suo nuovo percorso esplicitò il significato nominale della neo-testata, ovvero un originale rimando al sardo-logudorese, dove “Soliana” corrisponde ad uno spazio soleggiato, una stanza toccata dal sole mattutino, o anche una pendice collinare illuminata dalla luce dell’alba. Del resto, non poteva che avere questo respiro metaforico un’elaborazione concepita dalla mente creativa di Mimmo Bua, che quasi sempre, nel corso della sua lunga espressione intellettuale, si è contraddistinto per la sua dimensione chimerica.  

Nato ad Oschiri nel 1942, è stato docente di italiano e di scienze storico-sociali, ma anche cantautore apprezzato e noto a molti con lo pseudonimo di Miali Logudoresu. Scriverà lui, in un breve componimento autobiografico degli anni Ottanta – intitolato “Chie fit custu Miali?” – quella che fu la radice sorgiva di questa sua notorietà artistica. 

Miali Loguodoresu è nato in un piccolo villaggio del Montacuto (Nord Sardegna) nel corso della Seconda guerra mondiale. Da bambino ha appreso l’arte del contare storie da due affabulatori del villaggio: tiu Nanni Pinna (calzolaio-organista) e tiu Miali Pericu (vignaiolo, seggiolaio, ortolano, barbiere, campanaro e poeta estemporaneo); ha appreso la musica da autodidatta, girando per feste, paesi e villaggi del Nord Sardegna per circa trent’anni, avendo cura di rimanere sempre al di qua della fama e del successo, nella più gradevole condizione di semi-anonimato. Dopo aver appeso al chiodo gli strumenti, ha permesso a pochi amici di raccogliere le sue canzoni, i testi e le scarse registrazioni (dal vivo), insieme ad alcuni testi teatrali, modas, paristorias e trintases”.

Ma Bua è stato anche autore eclettico e versatile: ha scritto romanzi, racconti, leggende e saggi. Pur formatosi nella grande famiglia antropologica di Ernesto De Martino e Alberto Cirese, amava disegnare gli universi dell’immaginario popolare sfilandosi dall’approccio strettamente filologico. In lui prevaleva piuttosto una carica creativa che travalicava la metodologia della ricerca neutra. Il suo sguardo si spingeva oltre l’osservazione statica, diventando un’indagine letteraria e metaforica. In quest’ottica, la realtà osservata veniva restituita in azione, attraverso una scrittura fedele al contesto e ai contenuti analizzati, mai distante, né distaccata. E questo avveniva sia che si trattasse di saggistica, che di narrativa o di composizioni poetiche e musicali.

Emerge nell’opera di Bua uno spirito utopistico quasi irriducibile. Un aspetto che Placido Cherchi commentava così: “In un’epoca in cui il sogno viene sistematicamente sostituito dalla banalità del virtuale, la capacità di sognare credendo in forma lucida alla realizzabilità dei propri sogni, è una cosa rara e preziosa”. Una bussola, quella dell’idealità, che ha segnato molte strade politiche ed esistenziali di Bua, “inesorabilmente minoritarie e quasi sempre contromano”. Come se il suo essere fosse sempre esposto oltre i perimetri della realtà, ma sempre teso a trasformare questa pulsione di libertà in forza regolativa e in progetto. 

Tutto questo è ben visibile in molte sue pubblicazioni letterarie. Fra queste, “Chimbe upanishad in sardu logudoresu” (1999, S’Alvure), “Contos torrados dae attesu” (1999, S’Alvure), Gente di Ischiria (1985, Castello), “Il meglio di Salvatore Cambosu” (1984, Edizioni della Torre). 

Ma Bua è stato anche redattore della rivista “Sesuya”, dove ha pubblicato studi sulla poesia simbolica e su alcuni moduli metrici della tradizione sarda. Ha inoltre collaborato a diversi periodici, ed è comparso sugli Annali della Facoltà di Magistero di Cagliari e nell’inserto “Chi siamo” della “La Nuova Sardegna”. 

Morto nel 2009, la sua figura lascia alla storia del pensiero identitario sardo il segno più poetico di una resistenza intellettuale contro la violenta decadenza del mondo globalizzato. Una stella che brilla di utopia e di umanesimo. 

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